mercoledì 28 febbraio 2018

Prima dell'alba (Paolo Malaguti)

"Per carità, capita anche che si arrivi in alto con le proprie gambe. Ma nella banale quotidianità dei servitori dello Stato, Malossi ha fin troppo presto imparato come la conoscenza conti infinitamente più della bravura”. C’era del marcio in Danimarca raccontava Shakespeare, figuriamoci in Italia, anche se siamo ai tempi della dittatura fascista. Solo i figli di papà riescono a schivare le mille insidie sottese in un lavoro come quello di poliziotto. Ma infatti Ottaviano Malossi maledice che il caso sia stato affidato a lui, fumando nervosamente l’ennesima sigaretta. Un uomo morto sul pendio di fianco alle rotaie. Caduto dal treno in corsa. Omicidio o tragica fatalità? Sarebbe già un bel grattacapo per chiunque. Se non fosse che la vittima è Graziani, pluridecorato generale della prima guerra mondiale. E nessuno sa cosa accadde veramente tanti anni fa, dopo la rotta di Caporetto, quando il Vecio e gli sparuti resti dell’armata cui faceva parte battevano in disperata ritirata e l’assassinato in questione era ispettore capo per la vigilanza sull’ordine e la disciplina dello sconfitto esercito italiano. 




Graziani è stimato e riverito dalle alte sfere compreso il Duce in persona. Roma e le gerarchie del partito fascista sono andati in fibrillazione e l’Ovra ha sequestrato il cadavere senza tanti convenevoli. I colleghi di Malossi nicchiano ed il suo superiore lo indirizza a chiudere presto, in giornata la spinosa faccenda. In maniera indolore, suggerisce tra le righe. Inquietante questa fretta, il poliziotto lo sa. Però ignora il resto, il passato, quando un soldato di nome “Il vecio”, uno dei tanti che ha resistito a mesi sfiancante battagliare e ai cecchini austroungarici, è in ritirata con i superstiti della falcidiata III^ armata e l’ispettore supremo Graziani è chiamato chiama il boia, per la sua spietata crudeltà nell’applicare il regolamento ma soprattutto nel far valere la sua autorità. E il soldato assisterà ad una ingiusta fucilazione, dopo che il commilitone gli è stato compagno per quei due anni terribili di trincea, dove la morte e gli stenti vanno oltre il dicibile. Povero Malossi. Saranno giornate dure, tra omertà, segreti e passati che non erano del tutto annegati nel mero ricordo. L’ingiustizia messa in atto dai vertici gerarchici pervade questo giallo senza nemmeno troppa suspense, più simile ad un romanzo sulla guerra sulle sue conseguenze, ai suoi orrori nel mentre e nel poi, che a un’opera di genere. Diacronico e dinamico, con capitoli che alternano le agitate 48 ore dell’ispettore di polizia alle vicende di quattordici anni prima sul fronte veneto, l’opera è di ampio respiro per il contesto che agisce sullo sfondo, ben scritta e misurata anche con l’uso ben calibrato di tratti mimetici, specie in dialetto veneto, nelle parte dedicata agli episodi bellici. Nel descrivere senza indugi gli orrori che solo la trincea può recare e nel secondo segmento narrativo i dubbi e le certezze di un servitore dello stato che ben conosce il rigido ed ingiusto meccanismo che regola gli apparati burocratici, si arriva all’epilogo affatto sorprendente. Ripetuti, lapidari e senza appello i proclami dal sapor di invettiva contro i meccanismi del potere e del comando, che sia esso politico o militare non fa differenza. Un’opera interessante, non eccessivamente variegata nel descrivere le figure comprimarie ma comunque nel complesso dotata di una narrazione efficace e con una sua fluidità ed attrattiva che riescono ad avere solo le storie ben congegnate. Giallo all'italiana certo, ma ben contestualizzato senza che lo sfondo storico sia invadente o predominante e soprattutto decisamente con stilemi indigeni che non vanno come molti altri a vagheggiare inarrivabili modelli d'oltreconfine specie se anglosassoni.





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