Parla di un cantante,
prende il titolo da un suo disco, ma non è un romanzo musicale, anzi. Il
sottofondo struggente, silente quanto rumoroso, sono le dissonanze e non gli
accordi, le crepe, non le suturazioni, le saturazioni e non il colmare i vuoti.
Ma non è melenso né melodrammatico. E’ vita, pura vita, con i sui vivaci colori
e i suoi tragicomici sfondi in bianconero, quando talvolta non piove grigio che
scolora e tutto attutisce. Una storia dove viene
scolpito uno dei comandamenti troppo spesso bistrattati: nella vita non si può
cambiare il carattere ma solo accettare gli eventi
Romanzo di formazione nel
senso più classico del termine ma rimescolato con ardori e sapori del
postmodernismo, vedi i diversi punti di vista su cui si struttura la narrazione.
Racconto che si concentra più che sui distacchi sui ritorni, il ritorno alle
radici, il ritorno dell’amore, il ritorno (o non) dell’amicizia.
Molto cinematografico e
paesaggistico, è già oggetto di un futuro film, ma non datelo in mano a Innaritu, lo stucchevole e ridondante regista
del pessimo e recente Revenants, sarebbe
capace di farne un polpettone cosmico senza attributi. Qui vivono, godono e soffrono pensieri e sentimenti, nessuna masturbazione cerebrale.
Il vero personaggio
principale è il Wisconsin o meglio lo sperduto e sconsiderato Little Wing, dove
tutto cambia affinché nulla cambi e dove qualunque tempesta di neve o di vento
distruggerà le radici che ciascun nativo ha impiantato in questa terra solitari
e a suo modo poeticamente malinconica. Non ha le claustrofobie esistenziali di Roth e nemmeno le velleità mitteleuropee di Franzen, ma indica ancora una volta che la narrativa statunitense sta riscoprendo a suo modo la prosa classica europea, asfaltando dialoghi e riempendo di aggettivi ed elucubrazioni la narrazione sobria ed essenziale che tanta fortuna ha decretato nei decenni passati.
A suo modo riuscitissimo, senza
una smagliatura nonostante l’impianto rievochi rugosi antecedenti, rappresenta
quanto di più sano e terribile sia la nostra esistenza: siamo domande, mai
risposte e rispondiamo, capace che sbagliamo.
A quanto leggo su Onda
rock, poi, pare che sia direttamente tratto dalla biografia del cantante folk Bon Iver.
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