giovedì 23 luglio 2015

Venite venite B- 52 (Sandro Veronesi)


Anni Sessanta, Italia, litorale della Versilia. Il paese è incontaminato e pieno di voglie, esistono scarse regole e nessuno che intenda seriamente far rispettare la legge. Tutto è possibile e l'impossibilità appare una parola ancora priva di senso, questo paese pare rinascere germogliando come fiore dalla terra arida delle sue contraddizioni sociali e psicologiche. Lo stranito e stupefatto protagonista è Ennio, proveniente da un ameno paesetto claustrofobico quanto basta ed ottuso fino al vomitevole, suonatore a tempo perso di sassofono nel mitico gruppo dei Los Locos, inappetenti al successo per DNA, che all'improvviso prende al volo la svolta della sua vita. Dalla proposta d'ingaggio per una intera stagione musicale presso stabilimenti e balere, si trova in mano l'incarico d'autista dell'affarista Saligari, tipico esponente della imprenditoria di quegli anni, spregiudicata e senza vincoli o lacci, ma ancora sufficientemente libera ed apolitica anche se ferventemente anti comunista e comunitaria, scevra da massonerie trasversali, capace di deturpazioni ed affari che di lecito non avevano nemmeno l'odore ma ancora assolutamente indipendente, avventuriera come una volta nel Far West.
Carpe diem.
Tutto cambierà. Anzi no.




Ma a riprova che la fortuna non sempre aiuta gli audaci, Ennio neanche stavolta riuscirà a scrollarsi di dosso le sue ataviche indecisioni, i suoi bollori onanisti, le sue pratiche nichiliste. Un uomo senza qualità, avrebbe detto fumando il sigaro e con aria filosofica il tetro e annoiato scrittore Musil. E, a giustificazione del fallimento, in futuro Ennio darà la colpa nientemeno che ai Beatles. Perché lui era il più grande sassofonista del mondo, ma l'arrivo degli scarafaggi di Liverpool con il loro pop a base di basso chitarra batteria eliminerà per sempre la necessità di strumenti a fiato. E la musica, a detta di lui stesso e basta, perderà un asso, un genio, un virtuoso.
Tutto ciò mentre in una lussuosa tenuta, una vivace e irresistibile adolescente, dal nome colorato di Viola,  auspica che finalmente arrivino le terribili fortezze volanti B-52, le mitiche e sanguinarie fortezze volanti americane, a bombardare tutta la sua vita, a ridurre in macerie questo incomprensibile, fastidioso, arrogante mondo degli adulti di per loro in vario malinconico ed ironico modo adulterati. Viola non può che essere la figlia di Ennio e Luciana, donna ricca fuori quanto lacerata dentro, vittima di una cotta adolescenziale per un uomo che si dimostrerà più che bambino, bambinesco.


Una storia che attraversa venti anni d'Italia in maniera leggiadra e mai didascalica ma anzi, clownesca e irridente, una storia che si diverte a rendere pubblici privati vizi e debolezze di un plotone scomposto e variegato di personaggi, tra cui oltre quelli citati non dimentichiamo l'ex carcerato Giordano, granitico e ancestrale e Bollicino, fatuo e geniale, con sullo sfondo il fallimento dell'impero fortuito costruito da Ennio e le sue vicissitudini familiari, nate con l'abbandono della moglie per averlo scoperto in una tranche tipica delle sue performance sessuali solitarie con tanto di bambina neonata frignante nell'altra stanza. Una donna forse può perdonare l'avventura con una rivale, ma non può sopportare che il marito faccia per se in balìa solo di tenebrose fantasie ancorché pseudo romantiche. Luciana se ne va. Ed Ennio rimane all'improvviso non solo senza moglie e figlia, ma anche senza voglia.


Leggo Sandro Veronesi da anni. Ho sempre apprezzato fortemente la sua caratura di scrittore e alla fin fine son stato contento che relativamente di recente abbia raggiunto il meritato successo. Perché Sandro è abile a coniugare la capacità di comunicare a larghe masse nello stesso tempo infarcendo le sue narrazioni di temi tutt'altro che banali o consolatori, arricchendo il suo stile sobrio di improvvise ricercatezze lessicali e di pirotecniche trovate a volte meramente narrative e situazionali oppure graffianti sardoniche ed aggressive, umoristiche tirate che danno ampio respiro alla storia e la rendono qua e là una piccola perla.
Quello che mi piace sottolineare non è solo la maniera brillante di condurre la storia senza annacquare la vivacità e le improvvise digressioni a ritroso, esaltando le proprie attitudini di saper ritrarre personaggi goffi, impacciati, solidi e stolidi, agili e fragili, ma anche qui di dare vita a qualche gioco formalista operando sulla intera struttura narrativa, prendendo la parola in maniera gaia e frizzante per farsi beffe del lettore cieco, quello che assorbe sempre le solite storie e i triti contenuti senza voler mai un testo che
interroga, domanda e risponde, una lettura dannatamente passiva ed amorfa. Veronesi qui si gioca di lui,  lo mette alla gogna, rimanda significati accessori ma lì per lì apparentemente necessari al naturale svolgimento, rinviando a capitoli che però poi non verranno scritti, volendo scuotere dall'apatia colui che né avido né vorace ma solamente frigido e vuoto ha la sfortuna di avventurarsi tra le sue pagine. Appone note al testo fittizie ed apparentemente demifisticatorie, ma che in realtà sono uno sberleffo. Una operazione coraggiosa e da vero letterato qui in Italia, dove scrivere è l'arroganza che mettere semplicemente in riga e punti a capo la propria storia e i propri sentimenti significa essere Autori e dove la lettura è generalmente ridotta a lassativo oppure a sedativo, mentre invece dovrebbe essere un vivifico tonificante, una sollazzante rianimazione, una sognante ricreazione di mondi possibili e difficili ma certo più affascinanti e significativi nonché meno noiosi del nostro dove si vive


Il romanzo esce nel 1995, anno che non ha troppe date da ricordare. L'Italia non è ancora entrata nell'euro e ci sono ancora le lire, ma causa il debito pubblico, rischia di essere cacciata dalla UE. Siamo ancora raccogliendo le macerie partitiche del post tangentopoli, tutto pare essere cambiato ed invece ci sorprenderemo dopo qualche anno a respirare la stessa aria, vedere le stesse facce, assistere all'attuale, imperituro sfascio di ogni speranza di un futuro civile migliore. Terza prova dell'allora trentaseienne Veronesi, dopo "Per dove parte questo treno allegro" e "Gli sfiorati" e precedente i grandi successi "La forza del passato" e "Caos Calmo" nonché la epopea, per me opaca e forse tirata per il collo,  presentata con il titolo "Brucia Troia" nel 2007.
Veronesi fece parte della nuova corrente narrativa nata negli anni Ottanta, meno tradizionalista e di più ampio respiro e lui è sicuramente rimasto fedele a sé stesso, ha rinunciato a pubblicare per ragioni economiche un insipido libro all'anno (De Carlo docet) ed ha proseguito testardamente per la sua strada di romanziere, certo ribadendo spesso nei suoi testi alcuni temi e contenuti, ma proponendo sempre stimoli e riflessioni di sapore nuovo, seppur  di fatto la sua narrativa costantemente si impernia sul rapporto familiare, in particolare modo sul dialogo - non dialogo fra genitori e figli e marito e moglie, spesso non tralasciando i grandi contesti storico sociologici, mischiando con irridente facilità fiction e fatti di cronaca e gossip
estrapolati dal reale (?) corso delle cose. Così come trovo qui estremamente riusciti i riferimenti letterari e cinematografici  che sì sono indicativi di gusto ma vengono utilizzati come meri espedienti esemplificativi nella narrazione, per fini non certo di divagazione culturale. Da evidenziare che la ripubblicazione recente in Bompiani, al costo sontuoso di 13 euro, ha qualche evidente pecca, con un paio di refusi clamorosi (uno esilarante ma stralunante che trasforma “becchino” in “bocchino”…) e la qualità editoriale stranamente di basso livello, peggio di un tascabile, una vigorosa tirata d'orecchie a cotali affrettate operazioni editoriali.


Certo, se dovessi indicare una colonna sonora ideale citerei "Chiedi chi erano i Beatles", degli Stadio, mi pare l'ovvio contraltare a una delle tante efficaci trovate che rendono il romanzo simile ad un brillante prosecco, che si beve con allegria prima del pasto e sembra non dare alla testa, con tutte quelle bollicine, ma invece poi ogni bollicina è una trovata, ogni sorso fa l'effetto di una corposa bevuta. Un libro che sgretola senza nessuna pietà ma neanche pesantezza ideologica chi non riesce a stare con i piedi per terra. Ed in fondo pare proprio che crescere è sinonimo di marcire. Assieme a “Caos Calmo” a mio pare il più compiuto.


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