mercoledì 1 luglio 2015

Occhio per occhio (Sandro Veronesi)


Dalle lontane lande russe, fredde e per certi versi spietate e ciniche nelle sue efferate e contorte sentenze di giudizio, alle assolate e più notorie terre californiane, dove sole, benessere e american dream non impediscono comunque la messa a morte anche se di criminali assassini, anche se solamente sbandati teen ager.
Quattro storie, tratte dalla cronaca, vere e documentate. Russia, Usa e poi dal caotico, dittatoriale Sudan, infestato dal morbo delle ideologie religiose e dove s’annida e germoglia il tragico seme del fondamentalismo alle funeste e fustigabili leggi di Taiwan, paese che si ammanta di essere l’unica Cina democratica ma che punisce con la massima e assolutistica pena un rapimento, considerato molto più nocivo e dannabile di un omicidio nel suo ordinamento. Ecco Veronesi versione saggio romanzato, sull'orme dell'inimitabile Truman Capote di A sangue freddo.


E’ un viaggio drammatico ma affascinante quello che agli inizi degli anni novanta intraprende il romanziere toscano Veronesi, da me molto apprezzato e recensito, balzato agli onori della cronaca soprattutto con Caos calmo, trasposto poi al cinema in un buon film con Nanni Moretti protagonista. E poi, comunque, autore di livello, che si è confermato più volte talentuoso, sin dal suo esordio con  Per dove parte questo treno allegro o per esempio con il riuscito Gli sfiorati.


Il suo tentativo è più letterario più che documentaristico, anche se la sostanza narrata purtroppo non è fiction, ma le accuratezze stilistiche, le scelte strutturali, gli effervescenti effetti speciali narratologici portano ad esiti letterari notevoli anche se stavolta l’origine delle sue storie nasce da verbali di processo e interviste più o meno riuscite invece che dagli efflati e dai voli di una fantasia ispirata o meno che sia. Occhio per occhio per secoli è stato un detto quanto abusato tanto frainteso, anche in epoca recente, come asserisce Veronesi, citando persino la battagliera scrittrice e giornalista Oriana Fallaci, donna certo intraprendente ma che a suo dire prende in colossale abbaglio in “La rabbia e l’orgoglio”, in quanto il detto che da struttura e fondamento alla legge del taglione non aveva nulla di barbarico e tantomeno era di origine islamica, ma bensì cristiana e stava ad esprimere una garanzia per i più deboli, in caso di controversie dove le disparità sociali potevano causare pene eccessivamente severe. Occhio per occhi stavo dunque sa significare un mero limite all’amministrazione umana della giustizia, facendo in modo che la pena non superasse in nessun modo il crimine commesso.
Il testo denso e corposo, dallo stile ricercato e godibile, forse banco di prova per i sperimentalismi strutturali moderati del romanzo successivo alla pubblicazione di questo (“Venite venite B-52”, 1995) costituito di ben trecento pagine, parte da una assioma inconfutabile a detta dell’autore e condivisibile da parte dello scrivente: la pena di morte è un crimine efferato, la giustizia ha ben altre frecce al proprio arco per imporsi e garantire sicurezza e 
serenità agli amministrati. Non a caso l’autore spiega nella lunga introduzione a questa nuova edizione datata 2006, riveduta e corretta solo nei dettagli e in nessun modo nella sostanza, che tutto nacque dalla sua animosità verso le allora discutibili posizioni della Chiesa cattolica di fronte alla pena in questione. Tanto che mise in copertina, con fare polemico, una sua lettera aperta assai vibrante e quasi al limite del sarcastico e del furastico al Pontefice di allora, chiedendo ragione delle posizioni assunte nel documento ufficiale pubblicato nel 1992 e dal titolo “Il nuovo Catechismo Universale”. Pochi anni dopo in ogni caso Papa Giovanni Paolo chiarì la faccenda, tracciando un solco
decisivo e definitivo in merito, perché fino allora sembrava fosse propognata una malcelata tolleranza quanto non addirittura un sotteso e nefasto elogio della pena capitale, a discapito dei più elementari sentimenti di umanità e anche in contrasto con alcuni assiomi della religione praticata. Veronesi dixit, almeno.

Detto ciò, necessario per capire motivi e fondamenti del libro, evitando di impelagarmi in lunghe e loquaci asserzioni sul merito di quanto in argomento, posta la mia assoluta contrarietà, torniamo allo spirito letterario del testo, costruito in maniera abile e sagace e che riesce a romanzare spiriti sparito oppure miracolati, musica psrtiti imprevisti sulla gesta e vicissutidini varie e d eventuali di
terroristi palestinesi che in Suudan compiono un attentato in un hotel frequentato da ignari avventori come poi senza compassione ma con passione ci delucida sulla triste fine di tre ragazzi rapitori in Taiwan del figlio di un facoltoso imprenditore.per poi parlarci di un russo accusato in maniera forse forzata di associazione a banda armata contro la patria per finire all’ uomo californiano condannato per l’uccisione di due adolescenti nel corso di una rapina.
Storie di ordinaria e talvolta persino quasi sciocca criminalità, con più di un risvolto inquietante e un mirabolante modo di intrigare e attirare l’attenzione del lettore. Posto che il libro per certi versi è superato dall’evoluzione della politica mondiale, consultando siti appositi dedicati all’argomento ho scoperto che Paesi che attuano una moratoria delle esecuzioni per condanna a morte sono appena 4, mentre la mantengono ancora viav e vegeta (che tristezza, parlando di uccisioni) ben 48, tra cui nazioni popolose e comunque sepsso alla ribalta mondiale quali Afghanistan, Arabia Saudita, Ciad, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Giappone, Giordania, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait,
Libano, Libia, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Taiwan, Thailandia, Vietnam, Zimbabwe. Alcuni paesi ricchi poveri, altri ricchi, alcuni democratici altri no, qualcuno di una religione e qualcuno di un’altra. Che il futuro possa limitare al minimo questo elenco, almeno per quanto mi riguarda.


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