venerdì 6 febbraio 2015

Dance, dance, dance (Haruki Murakami )

Un  protagonista encomiabile e inattaccabile nel romanzo in questione. Uno che fa il maschio doc, di un certo livello certo. Uno che dimentica eppure ricorda anzi poi ricorda di dover scordare. Uno che è distratto ma si ripromette sempre di rimediare, quando sarà. Uno che ama ma poi non ama più o forse semplicemente ama altrove, in un quando, in un dove, in un forse. Come gli dice una delle non molte donne avute, "torna sulla luna, lì stai bene". Certo. I marziani non sono per questa terra si direbbe. Se non altro per incompatibilità di oroscopi. Nessuno può predire il futuro ad uno che con la testa sta in un'altra galassia. Come la mettiamo con la geometria dell'universo? Vogliamo o no che questo futuro sia veramente da predire e soprattutto lo possiamo anche conoscere?
Ok diciamolo. I conti non tornano. E questo libro è un' apoteosi della operazione matematica più famosa del mondo: due più due non fa quattro, a volte tre o cinque ma comunque il risultato è variabile.



"Cucu" faceva per salutare di prima mattina la prostituta di alto bordo Mei, lei che sapeva fare l'amore come nessun'altra, lei, che roba, gaia e felice, abile nei corpo a corpo, con un sorriso che illuminava la notte. E gli piaceva godere ascoltando Bob Dylan, mica musica pop e ci sapeva fare per naturale istinto, non per mera finzione, non lo faceva per soldi ma diceva che gli piaceva, tutto qui.

E nel frattempo si rammarica Gotanda, lui che fa l'attore. Lui che si dilania per essere sempre perfetto, sulla scena, ma reclama un posto al sole anche quando non è sul palcoscenico, perché sente di avere una polpa, un midollo osseo dell'anima, un cuore che fa da polmone quando si respira una vita che non lascia ossigeno emotivo ma solo anidride carbonica di stupide e lascive e commestibili pose da divo. Gotanda non sei Gioconda, si dimenticheranno presto. Di te e di me e di quello che hai fatto. Compresa tua moglie che ogni tanto ritrovi e ci fai l'amore, in un motel, dio che tristezza, ma il divorzio ha nutrito il sesso di ritorno, va bene così.

Yumiyoshi intanto ora si tocca gli occhiali. Ha un modo assolutamente sensuale di farlo ed insomma, anche se fa solo l'addetta alla ricezione in questo hotel a suo modo maledetto ma nello stesso tempo assai ricercato. Perché la storia che vi racconto ruota intorno ad un hotel dal nome bislacco, hotel Delfino, albergo incancrenito e cancerogeno, una volta sorta di rudere ed oggi dotato di sala massaggi, camere con viste ed ogni conforto che. Ti perdonerò Yumiyoshi, giovane ragazza, con quel tuo fare di sbattere il telefono in faccia e non dare confidenza, toglierti la giacca per rimetterla quando vuoi senza aver nemmeno sfiorato altro indumento. Farò finta di niente che il tuo nome lo dirai al protagonista della narrazione dopo oltre duecento pagine. L'amore è fatto anche di attesa, mai troppo e mai tutto subito. Donna che non sei altro.

Ci sono anche una madre e figlia, che si chiamano come gli eventi atmosferici, pioggia, neve, cielo,sole e chissà che altro ed infatti chi gli sta vicino si sente come le previsioni del tempo, improbabile. Una fa la fotografa di successo ed ha dimenticato che dovrebbe anche essere madre, una è sua figlia ha dimenticato di fare la figlia e cerca di scappare dalla bambina che è per recitare una donna improbabile. Metteteci infine l'Uomo pecora che compare nei sogni (o realtà?) di tutti per capire che non se ne esce indifferenti, ma colpiti e disillusi come sempre. Perché, a far finire il romanzo, si è certo che siamo nel capitalismo avanzato, come dice il protagonista, scritto da un giapponese che di orientale ha forse i tratti somatici ma come scrittura è stato completamente assorbito all'Ovest.

Ok ci siamo. Surrealismo certo, ma meno prolisso di "Kafka sulla spiaggia" , meno plumbeo di "Norwegian wood", in questo romanzo Haruki Murakami, giapponese di nascita ma assolutamente scevro di qualsiasi odore o sapore medio orientale troviamo di tutto e di più. Insomma testo che ti struscia, che fa lo "struscio" alla mente e alla emotività. Surrealista quanto vuoi, iper-realista se vuoi, ma costruito con sapienza e che ti ti tiene incollato. Alla voglia di leggerlo.
Una storia con tinte gialle e noir tra Tokio e Sapporo, con molte donne, un paio o anzi tre uomini e molti sogni che invadono la narrazione e la rendono talvolta quello che deve essere, un mondo parallelo ed onirico che.
Il segreto sta nel danzare, nel ballare sempre a ritmo, magari con qualche pezzo dell'enorme sequela di gruppi e canzoni citate nel romanzo. Sì forse è così. O forse no. Nell'enorme continuità di disastri, di incontri e scontri, di distanze e di vicinanze.
Testo non difficile, anzi, reso leggero, quasi inconsistente, ma costruito solidamente, con sapienza narrativa. Non credo che volesse dire molto oppure fosse teso a non dire niente. E' come un arco, con molte frecce nel paniere e tutte vengono scagliate e chissà se tutte o nessuna giungono al bersaglio. Non si rimane confusi alla fine, più che altro si è emozionati, contenti o delusi o qualcosa di simile, però quelle ore lì, sulle pagine, insomma. Non le rimpiango


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