lunedì 26 gennaio 2015

Storia dell'assedio di Lisbona (Josè Saramago)


Cosa succederà a Lisbona se nel 1147 i crociati veramente decidessero di non aiutare le truppe portoghesi stanziate alle porte, pronte a liberare la città dalla dominazione araba? E come conseguenza come si metteranno le cose nelle vita di un modesto e riservato correttore di bozze se è proprio lui a modificare il corso degli eventi mediante una semplice, infantile e quasi giocosa apposizione di un "non" ad un manuale rigoroso o quasi, che descrive quella storia e che a lui è stato assegnato per lavorarci sopra onestamente?
No ragazzi, niente fantascienza già abusata, niente fiction massmediatica e "gran-fratellosa", stavolta davvero fate i seri e non prendetevi sul serio, questo è solo un denso ma affascinante romanzo vero, si parla dell'umano e dei suoi a volte melodici e malinconici voli pindarici, volti solo a provare l'ebbrezza del volo, quasi come un pulcino che all'improvviso seppur goffo, si rifiuta di fare il pollo a vita. Con il benestare della gallina di turno. Sconsigliato di leggere a chi cerca solo nidi decrepiti, certezze fragili, umori fradici. Qui si parla di passione ed amore, forti e labili, incerti e vigorosi come solo i sentimenti sanno fare. Quando tutto va bene alla faccia di una negazione.


Lo scrivere. L'ardire. Il dire no alla Storia oppure avere la forza non solo di raccontare una vicenda, ma di farsi personaggio di una storia, viverla,confrontarla, affrontarla, perderla e vincerla a seconda dei capitoli, delle questioni, dei punti e due punti e punto e virgola, questa interminabile e affascinante affabulazione che alla fine è l'esistenza, questa rigida ma allo stesso tempo malleabile gramatica dell'esistere.
Vivere, d'altronde, è anche un po' raccontarsi. E Raimundo Silva nella sua inerte e infinita appartata solitudine fatta di gesti e vertigini dati da meccanici pensieri quotidiani, ama in fondo la vita, soprattutto quello che non ha vissuto. Perché noi, esseri umani, talvolta assomigliamo ad un eterno desiderare anche se poi i nostri sogni non sono che le briciole di desideri falliti
Eccolo dunque il nostro Raimundo (per chi legge padre, figlio, nipote e fratello di uno dei più memorabili personaggi delle letteratura contemporanea italiana, il Pereira del romanzo di Tabucchi, non a caso profondo studioso e conoscitore delle letteratura portoghese). Raimundo Silva, personaggio incontrastato e principale della vicenda narrata in "Storia dell'assedio di Lisbona", romanzo degli anni novanta dello scrittore portoghese Saramago, classe 1922, Nobel per la Letteratura nel 1998, è un isolato e impermeabile cinquantenne, che ha inchiodato la sua esistenza a svolgere abitudini con fare quantomeno solerte, dedicando ore, minuti e secondi ad un oscuro lavoro quanto dimenticato tanto importante quale il correttore di bozze per libri di ogni genere editi da una importante case editrice di Lisbona.
Ma arriva prima o poi il fulmine a ciel sereno, la folgorazione sulla strada per Damasco come la metafora biblica di san Paolo. Raimundo, già di per sé con evidenti e folcloristici rigurgiti di carattere pseudo rivoluzionario, viene turbato dal cambio repentino e libidinoso del direttore editoriale, ora una donna trentenne sicura e decisa, femmina a tutto tondo, intraprendente ma curiosa, come solo le donne sanno in certi casi fare,
Maria Sara, capace e metodica ma pur sempre donna, si mette in testa che il testo che sta leggendo per lavoro, narrante il famoso assedio di portoghesi e crociati alla predestinata Lisbona occupata dai mori nel lontano e medievale 1147, possa avere un mero "non" in più, che di fatto, come un piccolo sasso che in alta montagna scivolando provoca una frana disastrosa, arriva a cambiare il corso della Storia e delle storie.
E saranno turbini vertigini, tremori e stupori, amore e dubbio, ragione e sentimento, con una scrittura avvolgente, difficile e caparbia che alla fine ti avvince, intriga, conquista. Che ci dice il romanzo? Tante, molte piccole cose, di quegli equivoci apparentemente senza importanza ma che poi in realtà sono i saldi punti cardinali attorno a cui si svolge ogni vita caparbia o debole che sia.
Primo l'insicurezza mascherata (di entrambi i protagonisti alla fine) che si ribella, svela e vola, fino alle eventuali estreme conseguenze ma senza recalcitranti atteggiamenti rumorosi, ma lentamente, quasi pensata e calibrata, con ritmi e toni tipici e pertinenti di un paese povero quanto fiero come il Portogallo di cui Saramago è sicuramente uno degli artisti più famoso e controversi, amati quanto contestati.
Ed è poi assolutamente penetrante e convincente la avvolgente relazione che si instaura fra due persone così lontane e diverse quali Raimundo e Maria Sara, come diverte ed appassiona il doppio registro che vede le fantasie del buon Silva riversarsi su carta della nuova storia dell'assedio fino ad intrecciare con la trama del romanzo che oramai è andato componendo malgrado dubbi e paranoie di varia misura e peso. Di cosa parliamo? Della storia d'amore (se d'amore poteva essere in quei tempi) tra il semplice ma ardito soldato Mogueime e la "compagna" di un crociato, la sensualissima e concupita Ouroana.

Saramago merita. Non ho dubbi che al primo impatto richieda impegno e dedizione, con il suo stile afasico, senza respiro, fatto di improvvisi cambi di direzione e successivi raccordi. Ma dice cose e le dice in maniera davvero originale. Da quando raggiunse il successo con "Memoriale del convento" (1982), numerose le opere degne di menzione fra cui cito quelle da me lette quali "L'anno della morte di Ricardo Reis" il contestato "Il Vangelo secondo Gesù" e poi infine "Cecità", una delle più belle storie apparse su carta di recente.
Quattro stelle perché in fondo più che di storia qui si parla di amori, passioni, turbolenze varie ed eventuali che animano esseri comuni. Riscoprire l'amore in tarda età, accorgersi che si hanno doti e velleità di scrivere in prima persona più che correggere in terza ed anonimamente, insomma, le cinque stelle verranno quando questo cielo fatto di grigio e sordido pattume diverrà una bella mattina di primavera con il sole, dove chi sa e vuole scrivere non sarà impigrito e piegato alla leggi della produzione globale.

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