giovedì 6 novembre 2014

Chi ti credi di essere? (Alice Munro)

La provincia. Stato geo-politico ma soprattutto mentale. Questo dannato eterno microcosmo che difende con fierezza la propria integrità eppure nello stesso tempo ama e concupisce il capoluogo, il centro. Vite enormi e smisurate nei distacchi e nei ritorni, dai contorni sfumati, così piccole, vere, che quasi puoi toccarle.
Nonostante i boschi verdeggianti, un'aria appartata, un tenore di vita di cui la maggioranza gode, anche se non come ai livelli dei vicini Usa, questo Canada, con le sue distanze, i suoi geli invernali, nasconde e sottende una particolare irrequietezza sociale e sentimentale, specie nell'atipico e talvolta apatico trio composto da Rose, suo padre e la matrigna Flo, con in aggiunta la presenza inquietante del fratellastro Brian. Sismico,frammentato, sussultorio eppure lineare romanzo di formazione, di un protagonista Rose, che si piega si non si spezza, vacilla ma non cade. Prima bimba scontrosa, poi ragazza inquieta, infine sempre più donna. "Non devi metterti in testa di essere meglio degli altri solo perché impari le poesie a memoria. Chi ti credi di essere? Non era la prima volta che qualcuno glielo chiedeva"




 La famiglia di Rose è impegnata nella gestione di uno spaccio misero e talvolta polveroso, dove sono più le chiacchiere sulla gente del paese di che gli acquisti fatti, basta a malapena a tirare aventi ed a comprarsi, con sacrifici, un bagno chimico all'esterno onde evitare affollamenti perturbanti nel misero e inadatto vaso da notte. E dentro la piccola Rose una voglia inquieta, curiosa e talvolta goffa di vivere, di viversi tutto, dalla poesia al sesso senza saltare nemmeno un biscotto al cioccolato. Ai comuni mortali, ai baciati dal fato, ai deficienti di emozioni vere questa può apparire una colpa.
Crescendo Rose è in balia di molteplici contraddizioni cui reagisce spesso con forza inusitata e virulenta, quasi che solo con una tempesta riesca a non lasciarsi intimidire dal tarlo del dubbio.  Variegata, multitasking negli affetti e nei pensieri, confusa, soffusa ma spedita. Non si ferma. Mai. Così il rapporto con il padre che morirà silente e scontroso, così la lunga, velenosa, imprescindibile lotta con la madre, donna che per non soccombere ha semplicemente estirpato qualsiasi moto di affetto e comprensione almeno apparente verso tutto e tutti, che siano esseri animati o muri incrostati di sporcizia.

Impropriamente editata e canonizzata come racconto di racconti, il testo è un vero romanzo, certo asimmetrico, con sbalzi nel tempo e nello spazio,  senza il tanto benvoluto ma usurato e talvolta noioso continuum temporale. Un album di fotografie ma volte ingiallite, ma a volte ancora da sviluppare, a volte che stampate, ingiallite, impolverate, ora brillanti e colorate o meno, sono immodificabili, alla ricerca di appendere nel vasto muraglione cementificato del ricordo e cuore.
Una prosa ricercata ma non eccessiva, una ricerca minuziosa del dettaglio più visivo che gestuale, un equilibrato uso del dialogo, dell'azione, della narrazione, passi spediti e lunghi cerchi concentrici senza che il lettore si senta avvinghiato o circondato. Tetro a volte, spossante, ma lucido, vero e mai morboso. Una vera rivelazione la Munro  (anche se ci trovo punti di contatto con la Strout di Oliver Kitteridge, altro libro che mi ha stupito e deliziato) che rivela innate capacità ad un racconto non affatto scarno ed essenziale, ma efficace  e mai ridondante e con descrizioni e suggerimenti narrativi che potremmo definire epifanici. O semplicemente coinvolgenti e. E.

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