Non è un buon momento per il rampante giornalista Bauer. Essere poi
sbattuto dalla direzione a Rimini d'estate per fare gossip non è certo
una promozione. Anche se la città in estate diventa il centro del mondo.
Ma Bauer ha altro per la testa, tra l'altro anche un amore finito.
Beatrix invece, venditrice di quadri, è ossessionata dal ricordo di sua
sorella Claudia. E vuole, deve cercarla. Anche per dare una risposta ai
suoi molti perché. Magari a Rimini: notizie confuse la dicono essere lì,
in cerca della vita o di un suo significato ultimo. Ma le certezze
rimangono fragili, i dubbi invadenti. Lo scrittore Bruno May ha un
debole per Tony. Ma il suo amore omosessuale è svilito dall'alcol e
dall'abbandono, Tony è senza cervello, sfrutta solo la situazione,
occorre andare a divertirsi, non pensare, Rimini potrebbe fare al suo
caso. E mentre queste ed altre storie accadono, incessanti ed
incipienti, ruotanti dentro e fuori il centro estivo dei divertimenti
italiani, un misterioso suonatore di sax notturno come sottofondo si
lancia in un assolo.
Benessere, benestanti. Fuga dall'io e dal dovunque, naufragio nel
qualunque, nel chiunque. Riviera adriatica, 1983 ed anni precedenti. Una
sorta di refrain di cool-rock con improvvise e sincopate incursioni di
sonorità a carattere jazz sul tema. Una polifonia forse stridente, uno
spartito forse troppo pensato che non si fa pura e vera musica ma che
talvolta si lascia vincere dal perfido e infastidente rumore. Non è il
romanzo o meglio lo scritto (sarebbe apparso più congruo assemblare lo
scritto come una raccolta di racconti) più completo di Pier Vittorio
Tondelli questo Rimini (1985), ma probabilmente ne rappresenta
l'apice in senso di poetica e progettazione. Costruito su diversi
segmenti narrativi che si intersecano quasi per caso: il filone centrale
è rappresentato dal cinico giornalista Bauer e dalla storia delle sue
incredibili peripezie poliziesco-politiche sulla riviera romagnola come
caporedattore della pagina locale di un noto giornale in luglio e
agosto. Con discrasie narrative e iati di vario tipo a carattere
spazio-temporale, si narrano una accanto all'altra storie diverse., Il
suonatore di sax forse risulta la voce più potente e maschia, un ruggito
di dolore scomposto e per nulla rassegnato anche se sconfitto in
partenza, perché non è vero che il gioco è uguale per tutti e
l'importante è partecipare, e tuttavia la meravigliosa pagina del suono
del sax che sfiora e carezza tutti i visi, gli ombrelloni e le
illuminate facciate di quel paradiso artificiale anni ottanta rimane una
tra le più belle di quelle tondelliane: "Suonò con foga, passione, con
rabbia, con amore e il suo canto rauco si aprì attorno a lui e dai suoi
polmoni, dal suo cuore, da suo vecchio sax si allargò sulla spiaggia,
superò la linea colorata delel cabine, si distese sul viale del
lungomare (...) andò sull'insegna del Top-in (...) sui viali della
circonvallazione e finalmente si aprì fino ad abbracciare tutta la
riviera. Andò sui volti tirati dei camerieri e delle ragazze di
servizio". Come intense sentite, trascinanti, vere, crudeli ma grondanti
lacrime e sangue non di mera fiction sono le pagine dell'amore gay tra
May e il giovane squinternato suqattrinato pittore scozzese in una
Londra molto radical chic e post punk, proprio come doveva essere la
capitale inglese ad inizio anni ottanta, in piena fase di ascesa
reazionaria tatcheriana. Un romanzo che, come gli altri dello scrittore
emiliano, evidenzia tracce nemmeno nascoste di evidente autobiografismo,
fedeli alla linea più volte ripetuta e ribadita che letteratura e vita
non possono camminare distaccate e che si nutrono ognuna dell'altra
anche se, e si avverte distintamente, questo è un romanzo costruito a
priori, quello dove più fortemente Tondelli ha voluto dividersi dal
narrato diventando scrittore-altro dal racconto, proprio per dare vita
ad un mondo variegato e meno scompostamente ridondante di quello che
anima per esempio i racconti di Altri libertini o le vicende (e spesso vicissitudini) di gay sparse in Pao pao (1982) e liricizzate quasi a futura memoria nella intensa e lancinante storia d'amore di Camere separate (1989). Ci sono però brevi accelerazioni in Rimini
che sono molto riuscite, liricamente intense, dove pare che il freno
del progetto da realizzare e la volontà di compostezza e misura cedano
il passo al Tondelli più ispirato, libero da lacci e vincoli dei
meccanismi narrativi di architetture romanzesche solide e strutturate a
tavolino, dove la vita si fa spazio fra gli interstizi del corposo ed
ambizioso desiderio di offrire su un piatto d'argento di una pagina di
prosa la metafora di Rimini come punto di incontro e scontro delle
necessità e delle contraddizioni di una generazione molto arrivista e
nello stesso tempo low profile, alla ricerca di sé stessa molto di più
che del benessere, stentorea e lapidaria per finta, silenziosa nella sua
logorrea vacua e che vaga a tentoni alla ricerca di un pensiero stabile
da plasmare, stentata nelle ambizioni, nei sentimenti, nel godimento e
nello stordimento. Colpi d'autore calibrati su un obiettivo preciso,
colpi non a salve ma forse sprecati in un pattern nel complesso
deficitario. Se Moravia aveva dato un'unica e ampia panoramica quanto
mai sconvolgente degli anni trenta con Gli indifferenti, se
Balestrini più di 50 anni dopo ha provato di dare una sua parziale ma
totalizzante fotografia della sua generazione e delle lotte degli anni
settanta con Gli invisibili, ebbene Tondelli avrebbe potuto intitolare il suo lavoro Gli insofferenti.
Uomini e donne in preda a smanie e tensioni, dimidiati nel profondo e
alla continua ricerca, perpetuati e perpretati alla dannazione, quasi
convinti di non dover essere lì ed a quel modo eppure tenacemente
divorati dalle loro personali ossessioni e dei drammi laceranti delle
loro vite disordinate e spesso sconsolatamente prive d'affetto. Emerge
un quadro sostanzialmente molto negativo della società contemporanea e
dei meccanismi che la tengono in vita come perfidi incubatori di uno
spirito occidentale ormai al decadimento totale nelle carni e nelle
azioni. Non si nasconde una dolorosa presa d'atto che certi meccanismi e
certi comportamenti per quanto apparentemente naturali vivano sena
scomporsi in una dimensione stereotipata, fino a comporre un quadro
fisico (e non metafisico) che ha caratteri - anche nei più minuti gesti
quotidiani - di una teatralità più che rassicurante pesantemente
indigesta.
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