giovedì 23 gennaio 2014

La strada (Cormac McCarthy)



Duro.Polveroso.Struggente.

Padre. Figlio. Con un mondo attorno incenerito, con sembianze fantasmagoriche di esseri ormai solo anagraficamente definibili come simili, 'ché sono di solito, come usanza primaria, cannibali o derelitti. Un solo desiderio arde brucia e conduce: arrivare all'oceano, perché il mare, quando la terra diventa insopportabile, può essere un desiderio se non una soluzione.
Lui guarda verso il piccolo. Il piccolo tende una mano al grande. Una vita, due vite, un legame che non è un nodo scorsoio ma un modo di dire io sono qui e. Il grande con un passato insopportabile da sopportare e che non vuol passare, il figlio con giuste ma irrimediabilmente confuse aspettative per un domani che stenta a sorgere o a farsi perlomeno sognare. Una strada.



"Questo è mio figlio, disse... E' questo il mio compito"

Un ambiente ostile, ma un desiderio di vita.Lui il padre ed il suo figlio, il cordone ombellicale per esistere. Molte paure di nuovo, davvero, coraggio, non ce la faremo mai, forse. E' un mondo silenzioso e minaccioso che li circonda, bruciato ed arso, polveroso e dall'aspetto ostile e poi davvero fa freddo, questa pioggia che scende a iosa e ti fradicia anche l'anima e ancor di più se potesse, questi sentieri per monti scoscesi ed inospitali. Hanno distrutto il mondo, chissà come, chissà per cosa, maledetti bastardi. Ma qualcos'altro brilla, in questo buio. Un legame indissolubile, un esistere che a volte sembra quasi inimmaginabile, Eppure. 

Eppure loro si svegliano sempre o quasi quando si fa per fare mattina, ma non c'è nuova alba, possono addormentarsi talvolta quando incombe o già aggredisce la notte, ma la luce è un ricordo comunque. Vogliono solamente, fortissimamente vivere. Ecco se la cenere della distruzione a volte pare rendere l'aria irrespirabile. Non inseguono e non sono inseguiti, ma il mondo è finalmente nudo e scoperto, non ha più apparenze di cementificate certezze delle mastodontiche città, degli apparati tecnologici, delle sfreccianti automobili. Tutto è distrutto, rimane l'animale che è in noi, in più quando si può la parola e forse, tra affanni e spasmi, malanni e miasmi, l'intelligenza. Come quelle luci che sbattute dal vento stanno per spegnersi e non si riaccendono più perché son fuochi fatui.

Eccola allora la strada, una metafora certo, cruda e annaspante, ma viva, vera, emozionante. Ci sono loro due sulla via e sono tenuti assieme da una catena che non si spezza, l'amore reciproco tra chi ha dato la vita e chi la vita l'ha ricevuta. Esistere e resistere, vivere, mangiare camminare dormire e poi. Guardarsi negli occhi, abbracciarsi, scambiare qualche parola. Sono in due, a volte sembrano cento ma insomma, i loro timori fanno mille e più, eppure continuano, come invasati, come solo, come quando, come forse ma nessun perchè stavolta, davvero. Romanzo desertico ma non asfittico in un mondo che non c'è ma che purtroppo potrebbe veramente essere, desolato e devastato dall'unico essere vivente che lo può e potrà, l'Uomo, capace però in questa immane sofferente ambientazione di esprimere l'amore più semplice e vivido, lineare e senza fronzoli, forse, quello che si instaura nella natura paterna e filiale, un bimbo che vorrebbe non ma purtroppo deve ed un padre che non avrebbe mai voluto essere stato lì, seppur proveniente da cento e più posti peggiori, avvinghiati entrambi a questo desiderio di mantenersi e viversi, anche se il presunto obiettivo l'agognata meta ha la consistenza di un respiro, la solidità della polvere, la durevolezza del mai. Ma intanto si cammina, si mangia ed assaggia, ci si massaggia con gli sguardi, ci si spegne con un silenzio, ci si fa forza con. 


"Questo è mio figlio...questo è il mio compito" dice lui. Il figlio non parla, ma le sue azioni e reazioni, comportamenti in genere, sono la risposta, uguale e contraria. Due contrari che si attraggono e non si respingono, anzi fanno forza. Mente il mondo si disfa, gli esseri umani, quando compaiono, sono disfatti non solo nelle esigenze e nelle moralità, ma anche nelle possibili redenzioni. Il passato è ignoto, ma comprensibile, in un mondo dove tutto appare puramente istintuale e al limite intuibile. E' successo qualcosa, per colpa di qualcuno ma le conseguenze sono state lente, inesorabili e definitive per tutti, o quasi. Il futuro non è fosco o con oscuri presagi, semplicemente sembra non poter esserci, non è semplicemente nascosto o misterioso, ma, per dirla in maniera chiara, non ha la minima possibilità di svilupparsi e distendersi, non è solo contratto ma incapace a. Uno stile asciutto e livido, una continua ricerca dell'intensità, dell'epico anche quando si tratta di raccontare la mera ed assoluta quotidianità seppure in un contesto quasi fantascientifico. "La strada" di Mc Carthy, vincitore del Pulitzer nel 2007, è un'esperienza né pesante né barocca, ma che ci fa regredire ai primi passi ed ai primordiali sentimenti, facendoci capire quanto di umano, nel contesto assolutamente disumano, possa sgorgare a fiotti anche nelle più innocenti o ataviche parole, nei più consueti o meccanici gesti. In certe parti stupendo, in altre didascalico o forse esageratamente lirico. Assolutamente atipico per sostanza e forma, nel panorama attuale, risulta una lettura non solo inconsueta e coinvolgente, ma che ci fa riflettere su quanto siamo e su quanto dovremmo essere, compito improbo mi direte, ma in questo caso nella sua necessarietà reso lieve e non claustrofobico, come quando una scrittura ispirata sa fare. 


Mc Carthy da qualche tempo è sulla cresta dell'onda. Dopo aver furoreggiato in Usa, con la cosidetta Trilogia della frontiera, dopo essere stato autore dell'acclamato romanzo che fece da incipit al Nobel dei fratelli Coen ("Non è un paese per vecchi"), mi regala ancora uno spacco di Stati Uniti che non conoscevo e qualche briciolo di pura e folle narrativa. Chapeau.


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Pubblicata sul sito ciao.it nell'estate 2009

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