lunedì 20 gennaio 2014

La notte della cometa (Sebastiano Vassalli)


I poeti si sa son terreno minato, compi un passo leggiadro sulle loro parole e magari esplodi, sono una vera galassia che nasconde buchi neri che ti succhiano via e ti centrifugano in altri universi. "Notte" dunque, intesa come buio riempito di piccole stelle e "cometa", inteso come quello che passa, rimani ammirato ma poi.
Sebastiano Vassalli è fine narratore, innamorato della verità storiche, quando non lavora di fantasia.
Obiettivamente Dino Campana potrebbe essere lontano anni luce.
Ma questi sono i miracoli che la poesia compie.
Mettere in contatto mondi e parole e significati.
E alla fine ti viene voglia di concordare con Campana: "E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti/E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera". Ti chiamo anche io, o Chimera, basta che il cellulare non sia spento o irraggiungibile.


Poesia e pazzia, perfetta armonia



Fenomenali, questi poeti, che sulle macerie dell'anima costruiscono nuovi mondi fatti, pensate voi, di parole, a cui si dona nuovamente senso e significato. "La notte di una cometa" è una coraggiosa (per quel che conta), biografia romanzata di un "diverso", stavolta inteso non inteso in senso sessuale o razzistico, ma semplicemente un fantasioso, un pellegrino per i meandri del pensiero, un semplice fabbricante di parole che si trova il mondo contro e alla fine cede. Peccato, davvero, che nei nostri tempi attuali il termine "poeta" (come quello di "scrittore") sia diventata parola abusata e stuprata, per cui chiunque spezzi le frasi in maniere inconsueta e metta in riga presunte e consunte emozioni e parole più o meno significative, abbia il diritto di dire faccio poesia. E scritto e sia chiunque riesca a fare frasi di senso compiuto. Si tratta di uno dei tanti crimini ( di impatto inferiore ad altri ma di valenza pari e superiore) commessi da questo secolo ventunesimo e va bene, che la poesia sia con voi. I poeti, dicevamo. Demiurghi, anche se a volte pazzi, sicuramente. Il confine tra pazzia e poesia è infatti labile e incerto e valanghe di "criticatutto" ne hanno parlato e sparlato a iosa, nel corso dei secoli, beati loro, saprofiti dell'anima e delle esuberanze altrui. Poeti, questi esseri strani, animali per certi versi ed extraterrestri per molti altri. Dicono che vivano sulla Luna o sulle remote lande di Marte, ma chissà. In realtà i poeti per ora sono anche uomini e , si sa, è difficile fare l'essere umano. Molte le reminiscenze ( ergo, volevo dire ricordi ma poi faccio poesia) che mi vengono,. Fu probabilmente il Romanticismo (inteso come movimento culturale ed epoca storia e non come mero sentiero sentimentale anche questo disgregato da luoghi comuni che fanno comodo ai famosi saprofiti) a varcare e delimitare oppure ingigantire e tergiversare i confini fra pazzia e poesia, arte e stato di incoscienza. Poi venne il Novecento che ci fece una bella ramanzina e mise le cose, per così dire, a posto, nel senso che sovvertì qualunque assioma e trave portante e dalla fine, all'alba del Duemila della poesia vedemmo macerie e ricordi, mai sostanza oppure certezze, solo un infuso di passate storie e probabili immaginazioni.

Questo per dire che il poeta non è per forza o solo quello che scolpì in maniera monumentale il buon Baudelaire , il quale in momento di estasi creativa seppe ben raffigurare questi uomini che non sono uomini eppure eppur sempre umani che il detto volgare addita come Poeti. Parlando del maestoso uccello albatro, il Charles suddetto e definito maledetto dice " il poeta è come quel principe delle nuvole/che snobba la tempesta e se la ride dell'arciere;/poi, in esilio sulla terra, tra gli scherni,/ con le sue ali di gigante non riesce a camminare". E sembra questa una veritiera e azzeccata effige da apporre sulla vita di Dino Campana ( nato a Marradi, nel 1885, nei pressi di Faenza) portato su pagina da Vassalli ( nato, ahime, nel 1915). Campana, come figura narrativa, suo malgrado o forse è quel che desiderava, è emblematico e foriero di nuovi spazi conoscitivi da conquistare. Non è propriamente una mera biografia e nemmeno un romanzo biografico. Dice onestamente Vassalli, nella introduzione o quarta di copertina che dir si voglia " Se non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest'uomo meraviglioso e mostruoso". E' un lungo documentato discorso quasi fatto tra amici, pieno denso di storia e aneddoti, che travalica dal declamare agiografico e che ci regala più la figura dell'uomo che del poeta, posto che le due cose non possono essere scisse ma nemmeno sovrapposte. Ci avventuriamo con questo fascinoso e fascinante Dino, che nasce, cresce e non vive nel più pieno e provinciale contadinesco paesino di nome e di fatto. Rapporti difficili con la madre, pia donna dedita al fratello . Adolescenza disturbata e perturbata e nell'ombra la pesante eredità di uno zio pazzo che sarà la sua croce in senso lato e seno stretto. Poi viaggi, voglia di scrivere, poesia, bugie e verità, avventurosi pellegrinaggi, burocrazia davvero scostante oppure impotente ed infine, come nelle migliori storie, la fine, nel 1832, solo come sempre ma ormai acclarato come matto.

Sebastiano Vassalli, genovese di avanguardistica schiera narrativa, è romanziere d'elite e non certo di nicchia avvezzo al riuso di materiali storici per fini romanzeschi di alto livello ( "La chimera", storia "vera" di una strega nel Seicento e "La notte del lupo", ripensamento in chiave postmoderna della figura di Giuda) lascia chiaramente intendere che se non si fosse imbattuto in Campana, avrebbe comunque creato un personaggio così. E la chiarificazioni del rapporto di Campana con la poetessa mitizzata Aleramo, dannunziana post litteram issata a bandiera dalle femministe degli anni settanta ed entrambi vittime di un recente e modesto film di Placido, qui nel libro additata come mera donna in preda a normali, ormonali e carnali vogliosi istinti e poi lapidaria carnefice dei sentimenti del Dino uomo ed artista ,merita una sottolineatura con rigo rosso poiché motivata con lettere e non semplici ideali da sventolare quando non si ha nulla di meglio. Classico esempio di simbiosi che nasce su carta e che porta via. Che "la chimera sia" direi, e vi lascio con questi versi dei "Canti orfici" del Campana, prose e poesie davvero di altra natura e specie, parole che sanno fare male ma che nascondono un bene, quando il diverso fa solo divertire e finisce per essere quello che è. Un uomo solo.

"Non so se tra roccie il tuo pallido/Viso m'apparve, o sorriso/Di lontananze ignote/Fosti, la china eburnea/Fronte fulgente o giovine/Suora de la Gioconda/O delle primavere Spente, per i tuoi mitici pallori/O Regina o Regina adolescente:/Ma per il tuo ignoto poema/Di voluttà e di dolore/Musica fanciulla esangue,/Segnato di linea di sangue/Nel cerchio delle labbra sinuose,/Regina de la melodia:/Ma per il vergine capo/Reclino, io poeta notturno/Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,/Io per il tuo dolce mistero Io per il tuo divenir taciturno./ Non so se la fiamma pallida/ Fu dei capelli il vivente Segno del suo pallore,/Non so se fu un dolce vapore,/Dolce sul mio dolore, Sorriso di un volto notturno:/Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti/E l'immobilità dei firmamenti/E i gonfii rivi che vanno piangenti/E l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti/E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti/E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera"

Ti chiamo anche io, o Chimera, basta che il cellulare non sia spento o irraggiungibile.

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Pubblicata in origine su ww.ciao.it il   13.01.2008

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