domenica 18 agosto 2013

L'ombra dello scorpione (Stephen King)

Dell'odio, dell'amore e d'altre diavolerie

 

Stephen King. Il re, il maestro, l'insuperabile genio del thriller, a detta dei suoi milioni di fedeli fans. L'autore di opere che hanno segnato la memoria collettiva dei lettori, da Cujo a Shining a Misery a It.
Stile preciso, ritmo incessante, patterns quasi perfetti, congegno narrativo che insomma nei suoi minimi meccanismi ingabbia l'attenzione e l'emotività del lettore senza sotterfugi od inganni, qualche caduta di tono nelle descrizioni perché talvolta appesantite da un'aggettivazione continua anche se mai ridondante, ma che a volte si impelaga in termini barocchi e desueti, in pseudo lirismi che, è bene dirlo, possono dipendere anche da una cattiva traduzione, tanto sono destabilizzanti ed estranei al contesto linguistico e narrativo. Una storia di odio, cattiveria, amore ed istinto. Una storia di uomini.

Avvicinarsi a King con negli occhi la pseudo fatica e nell'anima l'excitatio intellettuale per la lettura di centinaia di altri romanzi, di ogni genere e nome. Ricordarsi di quello che la vulgata impone circa questo autore, definito maestro dell'horror e professore del terrore. Decidere di accettare il consiglio di alcuni valenti amici, innamorati di questo americano del Maine, classe 1947, autore di ben oltre cinquanta fra romanzi, racconti lunghi, raccolte, conosciuto finora da me solo attraverso versioni cinematografiche di sue opere quali tra le altre Misery non deve morire, Shining, Cujo.
Dirsi "proviamo" e provare immediatamente un brivido lungo la schiena, perché nel giugno del 1980, nell'America dei nostri sogni, dei nostri immaginari collettivi, dei nostri desideri e dei nostri odii, dilaga improvvisamente una terribile malattia mortale senza volto e dal nome Captain trips.
Gli scenari diventano attualissimi, sembra di vedere l'America sofferente dell'11 settembre e di New Orleans. Il morbo assale i polmoni e distrugge la vita nel giro di un paio di giorni. Ha un terribile difetto: si diffonde come ossigeno, è inarrestabile.
Solo alcuni esseri umani, in questa novella apocalisse dove gli echi biblici riecheggiano a pagine alterne con rintocchi spettrali di campane a morto, sopravvivono.
Questione di anticorpi, o forse di predestinazione. Perché spiritualismo, religiosità molto "nera", molto spirituals e campi di cotone si insinua tra le pagine e anima e rianima questa umanità esangue, sconvolta e derelitta, sola.
Tra diffidenza, terrore, e mistero l'istinto umano porta ad una lenta e svogliata ma necessaria riaggregazione di questi spettri rinati dalle polveri del disastro, perché "…l'uomo é un animale gregario, un animale sociale".

Ma se dal deserto dell'ecatombe uomini per nulla sfavillanti o redenti ma semplicemente umani cercano e poi trovano la strada per una ricompattazione incerta ma fortemente voluta, la vita non è facile.
C'è il male che aleggia, c'è l'occhio di faina affamato come un lupo di volontà di sopraffazione e morte, c'è l'istinto primordiale di soggiogare l'intero mondo, di metterlo ai propri piedi, c'è la volontà di potenza nietzschiana con corpo inquietante di corvo che volteggia, c'è l'altra faccia di tutto quello che noi pensiamo di essere e che poi a ben vedere non sempre siamo, c'è il Male.
Signore e signori Captain trips non ce l'ha fatta, Randall Flagg, l'uomo nero, il tizio che cammina, è fra noi e la sua accolita di ribelli, pazzi, pervertiti ma anche semplicemente di paurosi lo segue inneggiandolo, lo segue temendolo, lo segue e basta.
E le due schiere contrapposte per forza di cose, dovranno fronteggiarsi, perché nelle menti e nei pensieri di ciascuno ci sono sogni ed incubi, presagi e pensieri, insomma le forze in campo si sanno, si conoscono e l'eterna lotta fra bene e male aspetta solo di essere combattuta.

"--Che cosa ne sai dell'uomo nero?….
--…forse non è una persona in carne ed ossa….forse è soltanto la parte paurosa, peggiore di tutti noi. Forse sogniamo le cose che temiamo di poter fare"



King?
"I mattoni del linguaggio. Una pietra, un foglio. Parole. Magia. Vita e immortalità. Potere"
Stile preciso, ritmo incessante, patterns quasi perfetti, congegno narrativo che insomma nei suoi minimi meccanismi ingabbia l'attenzione e l'emotività del lettore senza sotterfugi od inganni, qualche caduta di tono nelle descrizioni perché talvolta appesantite da un'aggettivazione continua anche se mai ridondante, ma che a volte si impelaga in termini barocchi e desueti, in pseudo lirismi che, è bene dirlo, possono dipendere anche da una cattiva traduzione, tanto sono destabilizzanti ed estranei al contesto linguistico e narrativo.
Alcune ricorrenze, alcuni ritorni che sono come puntelli, come bussole nell'impervia ma riuscita ricostruzione di un mondo allo sfacelo fatto di almeno una quindicina di personaggi e di comunità di centinaia di uomini con le loro ricchezze e le loro povertà interiori ed intellettive, con le loro paure, con i loro essere insomma.
I puntelli?
Sesso. Un'accurata indagine scrittoria sui meccanismi dei preliminari, sui meandri della eccitazione istintuale, sui poteri dell'attrazione fisica che deve sfociare nell'atto d'accoppiamento liberatorio, sempre liquidato in due parole, a fronte delle pagine di continua seduzione, di incessante e vertiginosa regola dell'attrazione.
Paura. Il coraggio della disperazione, la certezza della volontà di vita vacillano. Il timore dell'ignoto o meglio di quello che ignoriamo é il nostro corvo sulla spalla, la nostra ombra.
Amore. Dubbio. Odio.
E con la materialità che si sfalda sotto i colpi di questo lutto inesorabile, il mondo inconscio rielabora e tesse le sue trame, si fa vivo, si impossessa anche della veglia, perché una volta fatta tabula rasa, il nostro io recondito ed anteriore viene a chiederci lumi, devo nascondermi o manifestarmi, posso venire alla luce e spiegarvi chi siamo?
Appesi questi chiodi, il quadro maestoso della narrazione si dipana i tutti i suoi colori, in tutte le sue tonalità mai troppo accecanti o cupe, ma con gli accostamenti tipici del romanzo d'autore.
Una cavalcata delle walkirie a tempo di rock con cori gospels d'accompagnamento, una "I still haven't found what i'm looking for" versione live degli U2 che porta verso un finale forse scontato che che pone interrogativi di valore universale.
"--Pensi…pensi che la gente impari mai qualcosa?
--Non lo so-- rispose"


La favola eterna dell'uomo allora d'incanto si ricrea, tra scenari di morte e pazzia, in città cimiteriali e autostrade con rottami di macchine ricolme di corpi in putrefazione, terre devastate dal morbo. I personaggi principali, troppi per trovare spazio qui in accurate descrizioni, mettono in moto questa gigantesca macchina narrativa di quasi mille pagine, epopea profondamente americana, anzi americana tout court, lirica del bene e del male ma in fondo dell'uomo e del suo originale peccato: l'essere un animale pensante, l'essere in carne ed ossa la solidificazione del bene e del male, dell'odio e dell'amore, della nascita e della morte.
Una fantasiosa lucida bibbia romanzesca di fine secolo, ambiziosa al punto giusto, una personale rivisitazione delle dicotomie ancestrali ed innate all'uomo prima che si ragioni sull'essere stesso o sull'avere, il tutto orchestrato dalla naturale propensione dell'autore al misterico, all'esoterico, all'animismo primordiale senza che ciò incanali l'intera struttura verso le autostrade del mero orrorifico o del romanzo prettamente di genere perché l'Ombra dello scorpione tutto è fuorché un normale romanzo sul paranormale.
Un normale anomalia, allora, nell'universo della letteratura e nello sterminato ed insaziabile campo dell'immaginario umano dedito alla narrazione, che si presta a svariate letture e riletture.


Pubblicata sul sito www.ciao.it il 20 marzo 2006

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